La dichiarazione di adottabilità del minore costituisce una 'extrema ratio' che si fonda sull'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale di Maria Tindara Saitta

Cassazione civile, sez. I, 14 Settembre 2021, n. 24717. Pres. Valitutti. Est. Acierno.
 
La dichiarazione di adottabilità del minore costituisce una "extrema ratio" che si fonda sull'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, da compiersi tenendo conto che il legislatore, all'art. 1 l. n. 184 del 1983, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento. (massima ufficiale)
La sentenza di che trattasi trae origine dall’apertura di un procedimento dovuto alla morte della sorellina del minore per defenestrazione. Al momento dell'accaduto erano in casa la madre del minore e della neonata deceduta e altri parenti. Il procedimento penale a carico della madre è stato archiviato. Subito dopo l'evento il Tribunale per i Minorenni disponeva l'immediata presa in carico del nucleo familiare da parte del Servizio Sociale cui è seguito l'avvio di un progetto di sostegno alla genitorialità. Dopo poco madre e minore sono stati collocati in ambito protetto a causa di un altro episodio verificatosi qualche mese dopo quando il minore è stato trovato solo per strada di sera, perché sfuggito alla sorveglianza dei genitori. In comunità sono intervenute altre criticità ed il minore è stato successivamente collocato in ambito protetto da solo a causa della ritenuta inadeguatezza della madre. La madre è risultata, altresì, affetta da un ritardo cognitivo. Il padre del minore è risultato anch'esso inadeguato perché ritenuto non in grado di comprendere le incompetenze materne, pur risultando in grado di manifestare un maggiore legame affettivo con il figlio. Il Tribunale per i Minorenni, dunque, dichiarava lo stato di adottabilità del minore.
Impugnato tale provvedimento, la Corte d'Appello condivideva integralmente le argomentazioni del Giudice di primo grado precisando in relazione ai motivi d'impugnazione che la madre aveva avuto tutto il sostegno necessario da parte dei Servizi per elaborare il lutto che l'aveva colpita e che vi era stato ampio spazio di confronto tra i Servizi Sociali, i genitori del minore, il difensore e la psicologa di parte. Inoltre sottolineava che il percorso valutativo era durato un anno con ritmi serrati e costanti e che l'inidoneità dei genitori non derivava da una valutazione negativa della cultura di appartenenza, ma che era il frutto di un rigoroso accertamento di una situazione di pericolo per la stessa incolumità del minore. In relazione ai parenti entro il quarto grado, la Corte d'Appello rilevava l'inidoneità degli stessi. La disponibilità dimostrata da questi è stata ritenuta essere fondata soltanto sulla ferma convinzione che il bambino dovesse rimanere all'interno della famiglia, e che non dovesse essere messa in discussione la relazione materna.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello veniva proposto ricorso innanzi la Suprema Corte che, invece, ha ritenuto che il Giudice di seconde cure abbia omesso di valutare l'esistenza dello stato di abbandono secondo gli indicatori stabiliti nella L. n. 184 del 1983, art. 8, così come interpretati restrittivamente nelle ipotesi di definitiva recisione del rapporto genitoriale dalla Corte Edu e dalla Giurisprudenza di legittimità. La mancanza di assistenza "morale" ex art. 8, sottolinea la stessa: deve essere fondata su una valutazione quanto più prossima alla decisione e, se confermativa di un accertamento meno recente deve fondarsi sul rilievo di tutti i fattori concomitanti a determinare la condizione genitoriale esaminata, ovvero nella specie a non ignorare il contesto socioculturale di partenza, l'assoluta inusualità del trauma vissuto da madre e minore ed il breve tempo di osservazione, in stretta connessione con la necessità di acquisire la certezza che la criticità riscontrata non abbia carattere transitorio.
La Suprema Corte ha ritenuto, altresì, che la Corte D’Appello abbia valutato la capacità genitoriale senza riscontri concreti e senza un'indagine tecnica sulle parti o sull'intero nucleo familiare dalla quale far emergere le criticità, anche dovute alla provenienza socioculturale della coppia, ed a prefigurare interventi mirati alla situazione effettivamente riscontrata. Inoltre, nell'escludere la presa di distanza dalla moglie, la Corte d'Appello avrebbe ignorato la disponibilità del padre del minore a separarsi dalla moglie per occuparsi in via esclusiva del figlio, ovvero di una circostanza oggettivamente contrastante con la valutazione svolta. In questo quadro è stato ignorato il rilievo della relazione positiva con il minore in quanto interamente soverchiata dal giudizio negativo relativo alla mancanza di consapevolezza delle problematiche della moglie. Ugualmente nessun rilievo è stato dato alla disponibilità dimostrata dalla nonna materna nell'aver lasciato la propria famiglia, residente all’estero, per partecipare agli incontri protetti e alla disponibilità all'affidamento del nipote così da non recidere definitivamente il suo legame con il nucleo familiare di origine.
Tale pronuncia segue la scia della sent. Cass. n. 7559 del 2018 in relazione all'attualità del giudizio prognostico posto a fondamento dell'accertamento della condizione di abbandono, considerato che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una "soluzione estrema", essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria. Il Giudice di merito, dunque, deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali.
Il giudizio che conduce alla dichiarazione di adottabilità, in conclusione, deve conseguire ad un'indagine rigorosa ed attuale dei genitori e dei familiari disponibili entro il grado previsto dalla legge, ponendo al centro dell'esame la relazione con il minore, tenuto conto che il legislatore nella L. n. 184 del 1983, art. 1 ha stabilito in via predeterminata il prioritario diritto del minore stesso di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, in quanto tessuto connettivo della sua identità. Non possono, dunque, svolgersi valutazioni inattuali o gravemente incomplete sia perché non fondate su tutti gli elementi di valutazione disponibili, sia perché non conseguenti ad indagini tecniche appropriate ai singoli casi, come accaduto nel caso di specie con riferimento a tutte le parti.
                          Avv. Maria Tindara Saitta